Stress e Coping

Il Coping dall’inglese to cope, letteralmente “far fronte a”, indica gli sforzi cognitivi e comportamentali compiuti da un individuo per gestire ed affrontare eventi stressanti, reali o percepiti come tali. Tale definizione è stata formulata dallo psicologo Richard Lazarus, uno degli autori che ha maggiormente contribuito al successo del concetto di coping insieme alla collega Susan Folkman.

Ma cosa si intende per eventi stressanti?

Il concetto di stress rientra nella teoria cognitivo-transazionale sullo stress e sul coping di Lazarus (Stress, appraisal and coping, 1984) secondo cui lo stress non è uno stimolo o una risposta, bensì è il risultato di un processo di valutazione che considera sia l’ambiente sia l’individuo che deve affrontarlo, pertanto un evento sarà tanto più stressante quanto più l’individuo si percepirà inadeguato e incapace di fronteggiarlo (Lazarus, 1993; Lazarus e Folkman, 1984).

La valutazione cognitiva (appraisal) che l’individuo fa della situazione determina il livello di stress percepito; tale valutazione si articola in 3 fasi:

  1. Appraisal primario: valutazione immediata della situazione e della sua rilevanza in termini di minaccia, sfida, o danno.
  2. Appraisal secondario: valutazione delle risorse disponibili per gestire la minaccia reale o potenziale.
  3. Re-appraisal: rivalutazione della situazione al fine di determinare l’efficacia delle strategie adottate; in base ai risultati ottenuti la persona deciderà il successivo corso delle azioni.

Concentriamoci ora sul tipo di strategie che le persone possono adottare per affrontare situazioni stressanti. Lazarus e Folkman propongono di suddividere queste operazioni in due gruppi:

  • Coping orientato al problema: include tutti le azioni volte a controllare o modificare la fonte di stress, affrontando il problema in maniera diretta e ricercando soluzioni per fronteggiare la crisi (es.: Pianificazione, Problem Solving).
  • Coping orientato all’emozione: comprende le strategie finalizzate alla gestione della risposta emotiva, attribuendo un significato positivo al disagio che si sta provando (ristrutturazione cognitiva), cercando di condividere le proprie emozioni con altri, oppure accettando il problema.

Nei primi anni ’90, Norman Endler e James Parker hanno sostenuto la necessità di tenere in considerazione una terza dimensione del coping:

  • Coping orientato all’evitamento: rappresentata dal tentativo dell’individuo di ignorare la minaccia dell’evento stressante attraverso attività che distolgono l’attenzione dal problema o negandolo.

In generale, le strategie orientate al problema tendono a essere le più efficaci, in quanto risolvono lo stress alla radice. Ci sono però delle situazioni che non possono essere affrontate in questo modo. È ciò che accade, per esempio, in caso di lutto. In altre parole, quando la situazione non può essere modificata o controllata, le strategie volte a regolare lo stato emotivo sono l’unica opzione efficace. L’evitamento costituisce una categoria trasversale alle altre due, in quanto include sia strategie orientate al problema che all’emozione. Benché tale strategia sia generalmente considerata disfunzionale, alcuni studiosi segnalano come in alcune situazioni essa possa in realtà rivelarsi adattiva. Prendiamo per esempio il caso di un disastro naturale. L’iniziale evitamento di alcune delle emozioni più dolorose connesse alla catastrofe dà modo alla persona di concentrarsi sul soddisfare i propri bisogni basilari prima di procedere all’elaborazione del trauma.

Il Coping pertanto è un concetto strettamente legato al Benessere personale in quanto adottare strategie funzionali e adattive, aiuta a ridurre o eliminare il livello di stress percepito.

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